FUORI DA QUI: la sfida dell’export

Mi piace parlare e scrivere dei temi che mi appassionano, che da anni rappresentano il mio lavoro: Internazionalizzazione, innovazione, mercati,  strategia, vendite, marketing, coaching, motivazione, team.

Oggi invito alla lettura di un articolo del Sole 24 ore (di un paio di anni fa ma sempre molto attuale) inerente una ricerca svolta da Sace dal titolo “Alla ricerca della crescita perduta”. Non anticipo altro, lascio, però, con dei quesiti che spero possano innestare intuito, creatività, idee, voglia di fare e in definitiva un consapevole e responsabile decision making.

Clicca qui per leggere l’articolo del Sole 24 ore

Ed ecco delle domande esplorative per imprenditori, manager, collaboratori in ambito export e marketing:

– Perché le nostre PMI restano indietro?

– Cosa blocca l’internazionalizzazione?

Forse la convinzione di potercela fare da soli? O forse la mancanza di ambizione?

Non ditemi i finanziamenti regionali o statali, questo aspetto, ahimè, noi non lo possiamo cambiare, non ancora, o forse non ora.

Cosa, invece, possiamo cambiare?

Partiamo dall’approccio all’export per esempio, lavorando sull’interculturalità in ambito marketing e vendite. Partiamo dalla motivazione, il motivo che spinge le nostre PMI a cercare business fuori dal confine nazionale.

Ho un mio collage di risposte ma sono curiosa di conoscere il tuo parere.

Perché una PMI si avvia sulla strada dell’internazionalizzazione?

Ti aspetto al webinar del 25 marzo per conoscere di più sulle PMI e sull’internazionalizzazione e fare un po’ di chiarezza!

 

 

 

 

Export manager: uomo o donna?

“I won’t talk to you!”

“Why?” I asked him back

“Cause you are a woman!” he replied.

Esterrefatta, sono rimasta impassibile senza abbassare lo sguardo, mentre lui masticava, rumorosamente, il chewing gum guardandomi con disprezzo.

E’ successo più di 20 anni fa, ero poco più che una ragazzina, una ragazzina alle prime armi. Lui ricopriva il ruolo di buyer per un’importante multinazionale iraniana. Non avevo ancora una cultura specifica in comunicazione interculturale, mi sono, allora, limitata a seguire il mio istinto ed il buon senso. La situazione si è sbloccata in pochi minuti ma non ti dirò ora come.

Oggi, che è l’8 marzo, voglio parlare di un tema che sta a cuore a tante donne che si occupano di export, come anche a tanti uomini, credo.

Perché un imprenditore o hr manager sceglie, molto più spesso, un uomo rispetto ad una donna?

Quali sono le discriminanti?

Quali i risultati, nero su bianco, dell’uno o dell’altra?

Non sono a conoscenza di statistiche in merito ed, in questo momento, non mi concentrerò sulle hard skills che, tanto uomini quanto donne possono possedere o formare ma, invece, su quelle soft skills intrinseche al genere.

Vi sono chiaramente due maniere diverse di fare export, di fare business, più in generale.

Vi sono caratteristiche comuni a uomini e donne e caratteristiche personali uniche e non replicabili.

E’ noto che la donna tende a essere più accogliente, più empatica, più generosa dell’uomo anche nella conduzione del business, l’uomo, al contrario, è generalmente più orientato alla razionalità, alla strategia e alla competizione.

Appare chiaro come, nella situazione descritta poco sopra, con il buyer iraniano, sia molto probabile che un export manager donna con tratti maschili molto forti avrebbe reagito diversamente. Il che significa che non possiamo trarne degli assoluti.

La domanda è: esiste una modalità più femminile ed una più maschile di fare l’export manager?

Sappiamo che in un ambito di negoziazione, come anche di prima presentazione aziendale, le aree cerebrali che vengono attivate sono diverse per un cervello maschile da un cervello femminile. 

Tanto per il venditore quanto per il compratore.

L’export coaching aziendale parte dal presupposto che l’imprenditore sia fonte del proprio successo o insuccesso: delegare ad altri funziona solo se e quando si ha consapevolezza rispetto ai propri punti di forza come delle proprie debolezze.

Si inizia da un lavoro più di esplorazione che di strategia, più femminile che maschile, un lavoro che partendo da se stessi arrivi ad abbracciare le altre figure (femminili e maschili) coinvolte nel processo di internazionalizzazione affinché si possa dare voce alle energie femminili e maschili che, variamente combinate, contribuiscano alla creazione e diffusione di una cultura societaria inclusiva, genitrice di creatività, di talenti e quindi di innovazione e di profitto.

La diversità di genere non è più rilevante della diversità di estrazione sociale, di età, di esperienza, di cultura o di ambizione e motivazione. Anzi la valorizzazione della diversità di genere e soprattutto di cultura tra uomo e donna così come tra italiano e giapponese o tedesco è una opportunità di crescita, di arricchimento, sia in termini personali prima che di business. A questo dovrebbero puntare imprenditori ed hr in fase di selezione.

E se ad influenzare i tuoi comportamenti fosse l’abbigliamento? Scopri di più qui.

Keep in touch e buon export!

Fornitore o partner strategico?

Che bella telefonata, piena di export!

Ieri, per conto di una PMI del settore meccanica automotive ho condotto una supervisione commerciale tra l’area manager ed il buyer di una azienda tedesca che da tempo richiede quotazioni ma che, al momento dell’ordine, pone sempre mille scuse.

Si perchè si tratta, in qualche modo, di scuse.

L’azienda bresciana che ha un proprio ufficio commerciale con persone molto valide e fluenti in lingua tedesca mi ha chiesto, quindi, una supervisione commerciale. Ero da loro per una sessione di business coaching con l’imprenditore che ne ha giustamente approfittato per chiedermi di essere presente all’ennesima telefonata di sollecito per capire il motivo del continuo rimbalzo.

Dopo aver richiesto tutti le delucidazioni del caso all’area manager ho detto: ok facciamolo, queste situazioni sono pane per i miei denti.

Ecco qua cosa è successo. Mi sono messa a fianco dell’area manager ascoltando la telefonata (per fortuna in azienda hanno un ottimo telefono con vivavoce).

Quale il contesto che ho rilevato? 

Che il buyer un tale Sig. Meyer teneva un atteggiamento cortese ma non troppo disponibile. Chiusi i saluti ed i convenevoli, l’area manager ha chiesto esplicitamente “Herr Meyer ha visto le nostre offerte, cosa ne pensa questa volta?” Il buyer dice (parole testuali) “come sempre i vostri prezzi sono nella media ma abbiamo deciso di continuare a lavorare con i nostri partner strategici” Ecco che Giordano (l’area manager) replica: “ma se continua a lavorare con i soliti fornitori perchè chiede quotazioni a noi”?

Ecco questo non è esattamente un atteggiamento da adottare.

Ho scritto su un foglio una sola parola e l’ho mostrata a Giordano, la parola STRATEGIA.

La telefonata stava prendendo una brutta piega, una strada senza uscita o, peggio ancora, un bel muro contro cui schiantarsi.

Ho ripreso quel foglio e ho scritto chiaramente la domanda che volevo ponesse: Herr Meyer wie koennen wir ein strategischer Partner Ihrer Firma werden?

Vedete, il Sig. Meyer ha chiaramente parlato di partner strategici e non di fornitori, la cogliete la differenza?

L’azienda cerca partner che possano garantire un servizio nel tempo e, per farlo, forse (questo dovremmo chiederlo a loro per esserne certi) stressa l’azienda fornitrice. Questo fa parte della loro strategia, verosimilmente.

Giordano nel riprendere la frase del buyer parla di fornitori e chiede un perchè, quando invece dovrebbe iniziare la domanda con un bel COME.

Nell’esporre la domanda da me formulata il Sig. Meyer sorride e replica “Ja, das ist eine gute Frage!” E da lì la conversazione cambia piega, Giordano riesce a fissare un appuntamento in azienda per presentarsi e approfondire l’offerta in corso.

Cosa ho fatto di particolare? Nulla, ho ascoltato attentamente ponendo cura al ricordare le parole usate dal buyer e le ho riutilizzate formulando una domanda aperta.

Vedi a volte ci vuole un export coach per risolvere o meglio in questo caso, sbloccare positivamente una situazione.

Le 5 dimensioni: comunicazione nel mondo del business giapponese

Chi compra il superfluo, vende il necessario.

Proverbio giapponese

Per comprendere la logica che guida le aziende giapponesi nel doing business, oltre alla conoscenza dei valori intrinseci che ne regolano il comportamento, è fondamentale conoscerne le concezioni di gruppo, tempo, spazio, il valore del silenzio nella comunicazione, l’indice mascolino – femminile.

Prima, però di iniziare l’analisi di questi punti (tema dei miei prossimi articoli) voglio introdurre in breve la teoria di Hofstede delle cinque dimensioni.

Nel corso delle sue analisi egli ha appurato che vi sono cinque elementi inderogabili per la comprensione del modo di comunicare adottato in ogni paese:

  • Il power distance index (PDI) che regola la distribuzione del potere all’interno delle organizzazioni, definendolo quindi non equamente, con una visione del basso verso l’alto;
  • L’individualismo (IDV) vs. collettivismo, ossia il grado in cui l’individuo si prende cura o meno del proprio prossimo. Le società individualiste sono costituire da individui più inclini al successo personale, quelle collettiviste (come il Giappone) sono formate da gruppi coesi che collaborano per il raggiungimento del bene comune ;
  • Il grado di mascolinità (MAS) vs. il suo opposto ossia il femminile, definisce la distribuzione dei ruoli tra i generi. L’analisi di Hofstede mostra come i valori femminili differiscano meno anche all’interno di società e culture molto lontane tra loro, quelli maschili al contrario registrano delle differenze importanti;
  • L’uncertainty avoidance index (UAI) relativo alla tolleranza nei confronti dell’incertezza, del vago, del dubbioso. Gli individui nelle società che accettano senza problemi il nebuloso sono più tolleranti nei confronti del diverso, più pragmatici, meno emotivi, e anche nel lavoro più contemplativi (proprio come in Giappone);
  • Il grado di orientamento a lungo termine (LTO) vs. il breve termine. Questa analisi, condotta sulla base di un questionario redatto da studenti cinesi, ha mostrato come i valori associati alle culture orientate verso il lungo termine siano la perseveranza, la tenacia, mentre quelli delle culture focalizzate sul breve termine siano rispetto per la tradizione e senso del dovere.

Tale rigida classificazione può essere esaustiva ai fini di un miglioramento della comunicazione tra aziende in campo internazionale? Può questa generalizzazione portare ad una efficace gestione dei conflitti?

È chiaro che no: solo tramite la formazione di appropriate e approfondite competenze interculturali è possibile auspicare un miglioramento della comunicazione tra aziende e, di conseguenza, un incremento del profitto, che è, in conclusione, il loro fine ultimo.

 

“Guarda gli errori degli altri e correggi i tuoi”

Proverbio giapponese