Value proposition: perchè comprare i miei stampi?

Sette nuovi prodotti su dieci introdotti sul mercato non soddisfano le aspettative dei clienti e, per questo, non portano alle aziende i risultati sperati.

Quali sono le motivazioni? Sono varie e differenti, ma possiamo individuarne una comune: una value proposition mal definita o poco chiara.

Cosa intendiamo esattamente per value proposition? La value proposition rappresenta ciò che differenzia un’impresa dai suoi competitors, l’insieme dei prodotti e/o servizi, e delle loro caratteristiche, che creano valore al cliente target in termini di risoluzione dei problemi o soddisfacimento dei bisogni.

La maggior parte delle value proposition che non funzionano partono da un unico grande errore, ovvero, pongono il prodotto al centro.

Per non sbagliare la tua value proposition e creare una strategia commerciale efficace utilizza i consigli presenti nell’articolo e partecipa al nostro webinar.

Per fare una buona proposta di valore è, innanzitutto, necessario partire dal cliente. In particolare bisogna concentrarsi su una sola tipologia di cliente target alla volta. Cosa intendiamo? Facciamo l’esempio, che riprenderemo nel corso di tutto l’articolo, di un’azienda che produce stampi per il settore automotive; i clienti potrebbero essere di diverso tipo: quelli che cercano degli stampi per la produzione in serie, quelli che, invece, necessitano di stampi  per progetti complessi. Pare ovvio che stiamo parlando di due target differenti e  per questo sarebbe difficile creare una value proposition che vada bene per tutti e due, in quanto hanno bisogni differenti.

Come primo step è quindi necessario targettizzare i propri clienti e, una volta fatto, osservarli attentamente. Gli aspetti da tenere in considerazione sono tre:

  1. Quali attività deve portare a termine il cliente?
  2. Quali problematiche incontra, o potrebbe incontrare?
  3. Cosa lo renderebbe soddisfatto del risultato?

 

L’attività del cliente può essere di tre tipologie:

  • funzionale: quando il cliente deve eseguire o portare a termine un lavoro, come per esempio, appunto, lo stampaggio di un pezzo “speciale” per il quale serve uno stampo costumised ad hoc;
  • sociale: quando il cliente vuole che l’immagine della sua azienda sia affiancata da immaggini di fornitori autorevoli e referenzati presso altri brand rinomati;
  • emotivo: quando il cliente cerca una sensazione e/o un’emozione specifica, come per esempio il sentirsi sollevato e al sicuro rispetto alla scelta di un nuovo fornitore.

 

Una volta individuate le attività del cliente target bisogna capire quali problemi, emozioni negative e difficoltà  potrebbe incontrare prima, durante e dopo lo svolgimento dell’attività stessa. Nel nostro esempio i “pain” del cliente potrebbero essere: lo stampo costa troppo, le caratteristiche potrebbero non essere realmente quelle promesse, o, ancora, potrebbe avere dubbi sulla qualità dei prodotti finali stampati.

Il terzo step è quello di capire cosa, invece, lo renderebbe soddisfatto, e in che termini questo misura il successo della sua attività. In questo caso il cliente potrebbe essere felice di avere un buon rapporto qualità/prezzo, tempi di consegna brevi, servizi complementari, ecc… Cos’altro potrebbe offrire la tua azienda per farsi scegliere come nuovo fornitore?

Solo dopo aver effettuato un’analisi attenta di ogni diversa tipologia di cliente  è possibile spostare il focus sul prodotto. Le aree da tenere in considerazione sono strettamente correlate alle caratteristiche del cliente precedentemente analizzate, e sono, anche in questo caso, tre:

  1. Su quali prodotti/servizi voglio basare la mia value proposition?
  2. Quali problematiche allevio o risolvo?
  3. Quale guadagno porto al mio cliente?

 

La nostra azienda di stampi potrebbe, per esempio, concentrarsi sugli stampi su misura progettati da un team interno, al quale affianca un ottimo servizio di controllo qualità e uno di assistenza durante la fase di collaudo iniziale e di stampaggio dei prodotti finali presso la sede del cliente italiano o straniero.

Come secondo passo, bisogna capire quali delle problematiche riscontrate la tua impresa può aiutare a risolvere, offrendo qualcosa in più rispetto ad un buon prezzo, delle certificazioni di qualità, ecc…

Infine, è necessario elencare quali risultati aiuta ad ottenere il tuo prodotto/servizio e quale risparmio o soddisfazione porta al cliente. In questo caso potrebbe non esserci una netta distinzione dalla categoria precedente, in quanto spesso ciò che aiuta a risolvere un problema crea anche valore. I “gains” per il cliente potrebbero essere il breve tempo di consegna, il supporto di uno staff tecnico altamente specializzato e molto altro.

Qui sopra l’esempio dell’impresa produttrice di stampi riportato in una prima bozza del nostro modello di value proposition per l’export. Se vuoi capire come creare la tua value proposition e acquisire nuovi clienti, evitando errori che potrebbero impedirti di far volare il tuo business everywhere in the world, partecipa al webinar gratuito che si terrà mercoledì 29 gennaio 2020!

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Il futuro dell’export con il digital marketing

Marcus Sheridan, imprenditore uscito dalla crisi grazie al content marketing e ora blogger rinomato sul tema, afferma che “nell’era attuale del marketing e del web 2.0, il web in un’azienda è la chiave di tutta l’attività”.

L’avvento dei Social Network, infatti, ha cambiato radicalmente il modo di fare business; aziende e clienti sono più vicini, a portata di click, e la loro relazione sta assumendo sempre maggior importanza, portando il prodotto o il servizio in secondo piano.

I risultati di una ricerca promossa da “We are social” e “Hootsuite” hanno dimostrato che, nel 2018, circa 3,196 miliardi di persone nel mondo (pari al 42% dell’intera popolazione) risultano iscritte ai principali social media; il 13% in più rispetto al 2017.

Ogni utente passa, in media, 1 ora e 53 minuti al giorno sui social. Per questo motivo, risulta evidente che un buon utilizzo del Digital Marketing da parte delle imprese può rivelarsi vincente, soprattutto per quelle aziende che dispongono di scarsi capitali da investire in una buona strategia di marketing “tradizionale”.

Un rapporto così diretto con i propri clienti può, però, nascondere molte insidie e, a volte, basta un piccolo errore per scatenare uno “scandalo mediatico” e rovinare l’immagine aziendale. Di “epic fail” ne possiamo ricordare parecchi; chi non conosce il clamoroso scivolone di Decathlon, che nel 2016, in seguito a numerose proteste sui social, ha dovuto rimuovere la sua campagna pubblicitaria “#Lofaccioperchè in campo non servono libri”?

Quindi, come si può essere vincenti sui social senza rischiare di fallire miseramente?

I passaggi fondamentali sono tre:
– chiarire gli obiettivi di una presenza social aziendale;
– scegliere la piattaforma (o le piattaforme) più adeguata al conseguimento di tali obiettivi;
– creare una digital marketing strategy annuale.

Inizialmente utilizzati per il tempo libero, i Social Network possono essere, in realtà, uno strumento molto valido per raggiungere diversi obiettivi. La domanda da porsi è: “perché voglio comunicare sui social?”. Alcuni esempi potrebbero essere: l’approccio ad un nuovo mercato o il rafforzamento della presenza, la creazione di Brand Awareness, o la ricerca di partner commerciali, distributori e clienti, così come l’employer branding.

Il secondo passo è quello di scegliere il giusto canale; per farlo non basta avere chiaro l’obiettivo, ma è necessario sapere precisamente a chi ci si vuole rivolgere e dove si trova la target audience. Quindi bisogna chiedersi: “per chi e dove pubblico i miei contenuti?”. Per avere un quadro più completo potrebbe essere d’aiuto un’analisi dettagliata dei competitors, per vedere dove questi si posizionano, cosa e come comunicano, e i loro punti di forza e di debolezza per cercare di differenziarsi il più possibile e sfruttare le loro “carenze”.

Lo step finale è quello di definire una strategia vera e propria e stabilire dei KPI per verificarne l’efficacia. La prima domanda in questo caso è: “come comunico?”. Bisogna, quindi, scegliere lo stile e il tono di voce da dare ai contenuti e definire il formato e la frequenza con i quali si vuole pubblicare. Solo successivamente è possibile dedicarsi ai contenuti, cioè al “cosa comunico?”.

E tu, pensi di essere pronto ad affrontare la tua sfida social?

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L’ (export) manager pinocchio: come la menzogna ti aiuta a fare business

L’onestà è la verità sono caratteristiche naturali delle persone e potrebbero essere la miglior policy per raggiungere gli obiettivi di business ma… la menzogna e l’inganno sono, allo stesso modo, elementi essenziali dell’essere umano.

Mentire è una parte del nostro processo di sviluppo, come parlare e camminare. I bambini imparano a mentire nell’età tra i due e i 5 anni e lo fanno per testare la loro autonomia ed indipendenza.

Abbiamo tanti esempi di grandi personaggi pubblici bugiardi, il buon vecchio Bill (Clinton)

“I did not have sexual relations with that woman”

oppure, in tempi più recenti, il caro Donald (Trump)

“I won the popular vote if you deduce the millions of people who voted illegally”.

Ma perché i manager (export e non solo) mentono?

Per raggiungere l’obiettivo, viene immediatamente da pensare.

Si mente perché, si crede, in questo modo, di conquistare il traguardo desiderato, prefissato da sé o dalla azienda con la quale si collabora. Giusto?

“We all lie, but not all lies are the same. People lie and tell truth to achieve a goal: we lie if honesty won’t work”

(Tim Levine, ricercatore)

Ma, torniamo alla domanda di poco sopra: “siamo certi che mentiamo per raggiungere l’obiettivo?”

Sul finire degli anni 90 alcuni professori dell’università californiana di Santa Barbara hanno dimostrato, conducendo una ricerca su 147 adulti, che si mente, in media, una o due volte al giorno. La maggior parte di queste menzogne sono tendenzialmente di piccola entità, si mente per coprire una propria inadeguatezza o per proteggere i sentimenti altrui.

Anche nel business ti chiedo io?

Non sono a conoscenza di ricerche di questo tipo per il business e mi concentro, pertanto, a riportare i dati della ricerca vestendoli dell’abito export.

“The truth comes naturally, but lying takes effort and a sharp, flexible mind”

(Bruno Verschuere, psicologo)

Gli studiosi offrono una classificazione delle menzogne in 4 tipologie:

1- le menzogne utili a promuovere se stessi

2- le menzogne utili per proteggere se stessi

3 – le menzogne utili ad influenzare gli altri

4 – quelle poco chiare

Il gruppo 1, che rappresenta circa il 44% dei motivi principali per cui si mente, racchiude i seguenti (presunti) vantaggi:

  • vantaggio economico: ossia la menzogna che porta un qualche beneficio monetario per sé o per l’azienda;
  • vantaggio personale: con la menzogna che pensiamo possa portare dei vantaggi diversi da quelli puramente economici;
  • un vantaggio in termini di personal brand con la menzogna volta a formare un’immagine positiva di se stessi;
  • un vantaggio a sfondo umoristico come quando l’(export) manager burlone racconta storielle false divertenti, barzellette o fa battute con i clienti (warning all’impatto interculturale, ne parlerò in un nuovo articolo).

Il gruppo 2 che rappresenta il 36% dei casi viene rappresentato da due situazioni tipo:

  • la menzogna per scopi di evitamento ossia l’(export) manager che mente per fuggire ad una situazione scomoda o per evitare un incontro;
  • la menzogna per nascondere un errore proprio o dell’azienda.

Il gruppo 3 rappresenta l’11% del totale e comprende due macro situazioni:

  • la menzogna con fine altruistico come l’(export) manager che copre una mancanza di un collaboratore o di un altro department aziendale;
  • la bugia maliziosa che serve intenzionalmente a ferire qualcun altro, come il competitor per esempio.

Il gruppo 4 che rappresenta solo il 9% dei casi racchiude due casi tipo:

  • la menzogna per ferire qualcun altro
  • la menzogna di tipo patologico che tende ad ignorare la realtà.

E tu che “liar” sei?

“Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni!”

Carlo Collodi

 

FUORI DA QUI: la sfida dell’export

Mi piace parlare e scrivere dei temi che mi appassionano, che da anni rappresentano il mio lavoro: Internazionalizzazione, innovazione, mercati,  strategia, vendite, marketing, coaching, motivazione, team.

Oggi invito alla lettura di un articolo del Sole 24 ore (di un paio di anni fa ma sempre molto attuale) inerente una ricerca svolta da Sace dal titolo “Alla ricerca della crescita perduta”. Non anticipo altro, lascio, però, con dei quesiti che spero possano innestare intuito, creatività, idee, voglia di fare e in definitiva un consapevole e responsabile decision making.

Clicca qui per leggere l’articolo del Sole 24 ore

Ed ecco delle domande esplorative per imprenditori, manager, collaboratori in ambito export e marketing:

– Perché le nostre PMI restano indietro?

– Cosa blocca l’internazionalizzazione?

Forse la convinzione di potercela fare da soli? O forse la mancanza di ambizione?

Non ditemi i finanziamenti regionali o statali, questo aspetto, ahimè, noi non lo possiamo cambiare, non ancora, o forse non ora.

Cosa, invece, possiamo cambiare?

Partiamo dall’approccio all’export per esempio, lavorando sull’interculturalità in ambito marketing e vendite. Partiamo dalla motivazione, il motivo che spinge le nostre PMI a cercare business fuori dal confine nazionale.

Ho un mio collage di risposte ma sono curiosa di conoscere il tuo parere.

Perché una PMI si avvia sulla strada dell’internazionalizzazione?

Ti aspetto al webinar del 25 marzo per conoscere di più sulle PMI e sull’internazionalizzazione e fare un po’ di chiarezza!