Perché il mio interlocutore non mi comprende?
Almeno una volta nella vita ogni imprenditore o manager, durante una conversazione di vendita con un cliente, un fornitore o anche un collaboratore, si è, sicuramente, chiesto:” Perché il mio interlocutore non mi comprende?”
Durante la mia carriera prima come Export Manager e ora come imprenditrice mi sono trovata, spesso, in conversazioni particolarmente complicate e controverse. Conversazioni nelle quali magari ero certa di aver misurato le parole e di essere stata chiara: tuttavia, il messaggio non veniva recepito a dovere dal mio interlocutore.
Oggi voglio condividere con te i motivi che sono alla base delle innumerevoli incomprensioni che, spesso, avvengono nel mondo del business e soprattutto nel business internazionale. Ho deciso di affrontare un tema molto caldo: quello della negoziazione internazionale, focalizzandomi sull’aspetto interculturale.
Nel 1981 l’Harvard Negotiation Project pubblica un testo che si intitola “Getting to yes”. Questo libro è un successo: circa 3 milioni di copie vengono vendute e altrettanti lettori provenienti da ogni parte del mondo si convincono che le negoziazioni siano molto più efficaci se si focalizzano sulla soddisfazione di entrambe le parti e non sul contenuto vero e proprio che potrebbe portare a confronti accesi. Per esempio, è meglio evitare di focalizzarsi su delle condizioni non modificabili, limiti nella realizzazione del prodotto o sconti e spostare completamente il focus sui risultati, in maniera etica e sostenibile.
Secondo il modello di Harvard, la comunicazione deve essere ambivalente.
Sia in ambito di business che nella nostra vita quotidiana, molto spesso parliamo più per essere fraintesi che per essere compresi. Questo accade perché emergono sentimenti come la rabbia, il senso di colpa o la frustrazione evidenziati dal nostro linguaggio paraverbale e body language e non viene posta, di conseguenza, la giusta attenzione al contenuto verbale, alle parole, a ciò che diciamo.
Ciò si complica, senza dubbio, se stiamo negoziando un contratto importante e non abbiamo una padronanza linguistica tecnica adeguata: purtroppo lo vedo accadere troppo spesso e ricordo che non sufficiente arrangiarsi con un inglese maccaronico per fare business all’export e, in un progetto di internazionalizzazione, anche i tecnici e l’ufficio qualità devono saper dialogare in maniera efficace coi clienti esteri.
Come riportare, quindi, l’attenzione al contenuto?
Per poterlo fare bisogna prima capire che in ogni conversazione difficile esistono ben tre conversazioni distinte.
Gli studiosi di Harvard hanno analizzato lo stile di centinaia di conversazioni di ogni tipologia. Dopo aver analizzato tutti i dati raccolti, hanno scoperto che esiste una sorta di struttura nascosta che evidenzia le tre conversazioni in atto. Ciò che
emerge dagli studi è che, a prescindere dal contenuto della conversazione, tutti noi facciamo degli errori che distolgono l’attenzione dai nostri pensieri, i nostri sentimenti e ci mettono di fronte ad un ostacolo comunicativo.
Le tre conversazioni sono le seguenti:
1- The What happened Conversation
2- The Feelings Conversation
3- The Identity Conversation
1. Analizziamo la prima conversazione nascosta: la “What happened Conversation”. Molte negoziazioni incontrano un disaccordo nella divisione delle responsabilità su ciò che è accaduto. Chi ha detto cosa? Chi ha fatto cosa? Chi ha ragione e chi ha torto? Chi deve essere incolpato e chi deve essere sacrificato? Queste sono solo alcune delle domande che una
delle due parti potrebbe porsi non sentendosi allineata e d’acccordo con l’altra parte.
2. In seguito, troviamo la seconda conversazione nascosta: la “Feelings’ Conversation”. Come suggerisce il sostantivo “feelings”, questa conversazione ha a che fare con le emozioni, le sensazioni e gli stati d’animo delle parti coinvolte.
Nell’ambito del business internazionale, la comunicazione interculturale gioca un ruolo molto importante. Infatti, per poter comunicare in maniera efficace con un interlocutore straniero è necessario conoscere la sua cultura. Secondo l’antropologo statunitense Edward Twitchell Hall e il suo modello dell’Iceberg Culturale, il 60% delle regole culturali sono
implicite e istintive. Queste caratteristiche culturali includono la gestione del tempo, le espressioni facciali e in generale, il body language. Per questo motivo, è complicato far recepire il proprio messaggio ad un interlocutore che comunica in una maniera completamente diversa dalla nostra. Sono certa che ti sia capitato di non aver compreso a fondo le sensazioni e le emozioni della controparte durante una trattativa con un cliente straniero.
Probabilmente, ti sarai chiesto o chiesta: cosa faccio ora che mi hanno offeso? Cosa dimostro al mio cliente? Dico apertamente che hanno offeso dei miei valori oppure taccio? Ti faccio un esempio concreto: se stai trattando con un cliente giapponese così come un tedesco, le emozioni non sono sicuramente da mettere in campo. Tuttavia, cosa accade se il cliente si arrabbia? Rispondo o mantengo la calma?
Vi do un consiglio che vale per la comunicazione tramite più canali: che si tratti di conversazioni face-to-face, e-mail o Zoom call, il segreto è l’autocontrollo. Se un cliente vi fa innervosire, prima di rispondere, fate un respiro profondo ed elaborate una risposta consapevole, invece di reagire istintivamente. Questo approccio è alla base dell’intelligenza
emotiva e quindi dell’empatia verso la persona con la quale state interagendo.
3. Infine, vi è la terza conversazione nascosta: la “Identity Conversation”. Questa conversazione corrisponde al nostro dialogo interiore, ovvero, alla conversazione che stiamo avendo con noi stessi relativamente a ciò che sta succedendo, in quale situazione si stanno verificando i fatti e sul significato che questa situazione assume per me. Per esempio, se non mi reputo all’altezza nel parlare liberamente in una determinata lingua straniera, la mia Identity Conversation darà origine ad un senso di inadeguatezza e frustrazione. Di conseguenza, non utilizzerò le mie potenzialità al massimo a prescindere dalle mie conoscenze della lingua straniera.
La paura di sbagliare ci mette in uno stato di ansia e di stress che non ci fa sentire sicuramente ben equilibrati. Nel momento in cui ci occupiamo di una trattativa, di una negoziazione importante, dobbiamo essere balanced. Dobbiamo aver lavorato sul nostro autocontrollo, sulla nostra autostima e sul nostro senso di autoefficacia; dei requisiti fondamentali per un buon venditore, un buon commerciale e per un ottimo Export Sales Manager.
In conclusione, all’interno di una negoziazione internazionale importante esistono tre conversazioni. La “What happened Conversation” che corrisponde a quello che è successo e il reale soggetto della nostra conversazione. Ogni volta che ci troviamo di fronte ad una trattativa ostica con un cliente estero chiediamoci
“Stiamo veramente dibattendo per uno sconto o tu, caro cliente non hai più fiducia nelle mie capacità come Sales Manager o peggio ancora nella nostra azienda? “
Dubbi, felicità, senso di frustrazione, rabbia, queste sono solo alcune delle sensazioni che caratterizzano la “Feelings Conversation”. Infine, vi è l’”Identity Conversation”, il nostro dialogo interiore che deve essere domato dal nostro autocontrollo. Se si vuole concludere una negoziazione e fare business all’estero con successo, bisogna trovare il giusto equilibrio tra le tre
conversazioni, senza perdere il focus sull’obiettivo principale: vendere i nostri prodotti all’estero.
Il nostro metodo di lavoro, People, marketing & Sales 4.0 parte proprio da qui, dall’intelligenza emotiva da mettere in campo sia dentro che fuori l’azienda per garantire il successo di ogni progetto di internazionalizzazione.